Torino è un luogo che non si abbandona

Torino è un luogo che non si abbandona

Città della fantasticheria, per la sua aristocratica compiutezza composta di elementi nuovi e antichi; città della regola, per l’assenza assoluta di stonatura nel materiale e nello spirituale; città della passione, per la sua benevola propizietà agli ozi; città dell’ironia, per il suo buon gusto nella vita. (Cesare Pavese)

“Torino è un luogo che non si abbandona”. Come dare torto al filosofo Nietzsche, che tanto adorava la città piemontese, ricca di ispirazione, porta che si apre sulla magnificenza. Tre giorni di visita, un numero perfetto per assaporare Torino, la capitale della magia.

Ed effettivamente è una specie di sortilegio benefico passeggiare tra le vie di questa città maestosa e imponente, severa e austera. Torino, con il suo assetto quadrato, si prende gioco del sprovveduto visitatore, costruendo labirinti di strade infinite per l’occhio e sfiancanti per il passo. Piazze sconfinate che schiacciano il respiro sotto il peso dell’equilibrio geometrico e delle linee regolari.

Luoghi nascosti, giardini segreti, che solo i più intrepidi possono gustare, mossi da una curiosità che sfida la città più potente del mondo. Torino ha una personalità statuaria e spavalda: prende i suoi avventori come inermi pedoni e li muove sulla sua scacchiera. Il passato non si identifica come tale, ma si trasforma in un presente eternamente moderno. Un luogo che profuma di storia e di cultura, dove nulla è lasciato al Caso e tutto è nelle mani del Destino.

Per lo sguardo di un fotografo come OfficinaVisiva, abituato a prospettive ben diverse, come le cucine dei ristoranti o i banconi dei locali, è un’operazione ardua e affascinante cogliere la grandezza di Torino. Ma, con la giusta attenzione, ci si accorge che il rigore di questa città è solo una maschera per nascondere una folle mutevolezza di colori e di contrasti, di sfumature che scolpiscono le architetture, di luci che disegnano gli edifici.

Torino è una sintesi perfetta di contrari e solo il bianco e il nero possono tirar fuori l’infinità in essa racchiusa.

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